Pochi giorni fa un amico libraio mi ha saggiamente ricordato che non bisognerebbe mai imporsi di leggere un libro, soprattutto quando la motivazione coincide con un senso di colpa “Non è possibile che non abbia ancora letto Han Kang”.
Esiste un momento ben preciso per ogni libro e il più delle volte, anche se non siamo noi a deciderlo, lo possiamo comunque riconoscere.
Fino al 14 febbraio tutto il catalogo Adelphi – escluse le novità pubblicate nell’ultimo semestre – è scontato del 20%. Ancora non lo so se quest’inverno esplorerò “La vegetariana” ma spero che qualcuno di voi approfitti di questa promozione perché sente che è il momento giusto per avvicinarsi o approfondire la conoscenza di Han Kang.
La Vegetariana (trad. dall’inglese di Milena Zemira Ciccimarra, 2016)
«Anch’io faccio dei sogni, sai? Dei sogni… in cui potrei dissolvermi, lasciare che abbiano il sopravvento su di me… Ma non esiste soltanto il sogno, no? Dobbiamo svegliarci a un certo punto, non è così? Perché… Perché allora…» (p.177)
Con queste parole di In-hye, rivolte alla sorella Yeong-hye, che rifiuta il cibo con la speranza di trasformarsi in un vegetale, il romanzo “La vegetariana” sta per volgere al temine. Sono parole che invocano una sorta di senso di responsabilità verso la vita; sono parole della razionalità, quell’elemento essenziale dell’essere umano al quale tutti noi ci aggrappiamo per non perdere le redini della nostra esistenza, soprattutto nei momenti di burrasca, durante i quali lasciarsi andare alla nostra parte irrazionale sembrerebbe la cosa più semplice. “Lasciare che (i sogni) abbiano il sopravvento” è una dolce tentazione, resa tale grazie a quel senso consolatorio che il lasciarci andare sembra poter offrire. La razionalità è ciò che ci impedisce di cadere quando gli eventi dell’esistenza ci obbligano a guardare nel nostro abisso personale, è quell’istinto di sopravvivenza che ci mantiene sulla retta via. Eppure siamo affascinati dall’abisso, il pensiero di uscire dai binari ci attraversa la mente e si espande nel nostro corpo come un brivido pieno di eccitazione ed adrenalina. È come la vertigine, quella sensazione che Milan Kundera descrive come “la voce del vuoto sotto di noi che ci attira, che ci alletta, è il desiderio di cadere, dal quale ci difendiamo con la paura”: allo stesso modo l’abisso ci chiama, una chiamata dalla quale il meccanismo dello spavento ci difende, riportandoci alla ragione. Ma non tutti sono capaci di ciò, o non tutti vogliono difendersi in maniera razionale. In-hye guarda la sorella e, nonostante la sofferenza per lo stato moribondo in cui questa versa, non può fare a meno di provare una sorta di gelosia per la sua estrema libertà, quella libertà con cui, fino alla fine del romanzo, combatte per essere ciò che vuole essere, nonostante questo comporti la sua autodistruzione. “La vegetariana” è un romanzo pieno di amarezza, quella sensazione che deriva dall’interrogarsi sull’essenza del nostro essere, su ciò che vuol dire essere umano, e nel percepire tutta quella sofferenza e violenza che sembrano imprescindibili dalla condizione umana.
Atti Umani (trad. dall’inglese di Milena Zemira Ciccimarra, 2017)
“Atti Umani” è un romanzo corale in cui le storie dei singoli personaggi si intrecciano le une con le altre, e ognuno si fa testimone e memoria della vita dell’altro. Qui la parola chiave è memoria, una memoria che per anni è stata rimossa e negata. La memoria di tutti quei corpi che, nel breve arco di dieci giorni, si sono ammassati per le strade di una città militarizzata. E qui, ancora una volta, è la scrittura grafica di Han Kang a rendere palpabile la violenza: la fila di bare nella palestra dell’ufficio provinciale, l’odore intenso che pervade la stanza e che le candele non riescono a coprire, e poi ancora corpi: trasportati e impilati a forma di croce in un luogo non identificato, corpi torturati, corpi sfregiati. I corpi in questo caso si fanno testimoni dell’assenza, e le storie dei personaggi rappresentano la memoria di quelle vite perdute.
Convalescenza (trad. dall’inglese di Milena Zemira Ciccimarra, 2019)
“Convalescenza” è un libricino, una raccolta di solo due storie: “Convalescenza” (che dà il titolo al volume) e “Il frutto della mia donna”. Racconti brevissimi ma pregni di emozioni intense.
La vicenda di “Convalescenza” si svolge a ridosso del Natale, cosa che mi ha fatto riflettere su quanti diversi tipi di natale ognuno di noi, suo malgrado, andrà incontro. Vi sono natali gioiosi, di condivisione con chi si ama, ma vi sono anche natali terribili, natali dolorosi, natali di convalescenza… Parlare di convalescenza fa immediatamente pensare al periodo di recupero del nostro corpo da una malattia o un infortunio, ma esiste anche la convalescenza dell’anima. La protagonista di questo racconto ha da poco dovuto affrontare la perdita della sorella, con la quale condivideva un rapporto difficile, fatto di non detti che mai più potranno essere recuperati. Il dolore dello spirito si sublima nel dolore fisico, legato ad un piccolo incidente. E nella sfrenata corsa finale in bicicletta è sempre il corpo ad invocare consolazione per le lacrime del cuore.
“Il frutto della mia donna” è l’embrione dal quale poi nascerà “La vegetariana”. La protagonista è un’anima in pena. Qualcosa che non riesce a definire la logora e la spinge ad un impellente desiderio di fuga: per poter vivere deve strappare le sue radici e mettere ali; ciò che desidera è liberarsi dalle sue catene e viaggiare in giro per il mondo. Tuttavia, si lascia travolgere dalla vita, dalle convenzioni, da quello che la società si aspetta da lei. Incontra un uomo che afferma di essere sempre stato solo e a questo si lega, mette radici, ma pian piano di lei non rimarrà che un frutto dal gusto amaro.