MUTO è il nome di un progetto prima ancora che di un gruppo. Un progetto che riunisce arti performative e multimediali, musica tradizionale ed elettronica in un perfetto connubio tra passato e presente, Oriente e Occidente. Nei MUTO musica, giochi di luci e proiezioni video danno vita a performance nelle quali le diverse arti si intrecciano e la contemporaneità e la tradizione si fondono, creando qualcosa di nuovo.
Il fondatore e direttore creativo del gruppo è il visual artist Park Hun-gyu che ha riunito intorno a sè il musicista e suonatore di goemungo Park Woo-jae, il produttore musicale della band di musica elettronica Idiotape, Sin Bum-ho, e l’artista multimediale Hong Chan-hyeok.
Tutto ha avuto inizio nel 2016, anno che li ha portati al Paju Free Music Festival, al Seoul Art Space Mullae e fino al Teatro San Martin di Buenos Aires. Da allora ad oggi i MUTO hanno partecipato a diversi eventi culturali e festival, compreso lo “Zandari Festa” dello scorso ottobre, dove hanno presentato il loro primo album uscito a giugno e intitolato “Vast plains”. L’album riunisce brani inediti e non, in un continuo dialogo tra i suoni digitali creati da Sin Bum-ho e quelli creati da Park Woo-jae e dal suo goemungo. Il risultato è la perfetta unione tra mondi musicali apparentemente distanti che danno origine a pezzi emozionanti e spesso intrisi di un delicato e malinconico lirismo (“Gon”, “Mountain” e “Red Moon” ne sono esempi perfetti), ma anche contemporanei e ballabili, come “Seven blind men” che chiude l’album con il suo sapore un po’ “à la Underworld”.
I MUTO non sono l’unico esempio di commistione tra musica tradizionale e contemporanea. Leenalchi sono probabilmente la band che più di altre ha contribuito ad accrescere l’interesse del pubblico verso una nuova interpretazione della gugak, la musica tradizionale coreana. Ma ciò che differenzia i MUTO dai Leenalchi e da altri artisti che reinterpretano in chiave moderna la tradizione musicale (in questa playlist ne potete ascoltare alcuni), è l’importanza dell’aspetto visuale. Certamente i pezzi dei MUTO si possono solo ascoltare, ma per apprezzarli fino in fondo bisogna guardare anche le loro performance.
Fasci di luce, video, pannelli usati per proiettare immagini, e che fungono da quinte sceniche, fanno da contrappunto alla musica e arricchiscono l’esperienza dello spettatore. Grazie ai video delle loro performance si può assistere al confronto tra gli artisti in scena, Park Woo-jae e Sin Bum-ho. Un confronto fatto di gesti paralleli, quelli di Park sulle corde del suo geomungo e quelli di Sin che si muove tra tasti, leve e pulsanti della sua strumentazione fatta di computer, synth e mixer. I MUTO sono ricerca e continua voglia di contaminazione e la scelta di Park di suonare il goemungo anche con un archetto per violino va esattamente in questa direzione. Questa scelta genera, infatti, suoni completamente diversi rispetto a quelli tipici del goemungo che, da tradizione, viene suonato sollecitandone le corde con le mani o un bastoncino di bamboo.
Il desiderio dei MUTO di sperimentare non poteva non arrivare a coinvolgere una delle forme d’arte tipiche della Corea: il p’ansori, un particolare genere di narrazione musicale di epoca Joseon che vede in scena una cantante (sorikkun), il cui canto viene accompagnato da un suonatore di buk (un tamburo tenuto in verticale). Delle storie che venivano narrate solo cinque sono sopravvissute fino ai giorni nostri, una di queste è la “Simcheongga” e proprio su questa si basa lo spettacolo “The Two Eyes” che i MUTO hanno portato in scena nel 2021, in occasione della loro seconda partecipazione allo “Yeowoorak Festival”, il festival che il National Theatre of Korea dedica alla gugak.
La storia, la più tragica tra le cinque storie p’ansori, narra della giovane Simcheong che deve occuparsi del padre cieco, Sim Hak-Gyu, il quale proprio grazie a lei riuscirà a riacquistare la vista. In occasione del festival i MUTO hanno portato un brano della storia coinvolgendo nella rivisitazione il gruppo p’ansori MNH Studio. Il risultato è uno breve spettacolo che riesce ad arricchire la tradizione, rispettandola e al tempo stesso trasportandola nel presente senza snaturarla.
In un’intervista rilasciata nel 2019 a The Korea Herald, Park Hun-gyu ha dichiarato che inizialmente non avevano un’idea chiara di ciò che avrebbe dovuto essere la band, quello che volevano era essere aperti a collaborare con altri artisti. È esattamente quello che stanno facendo, continuando a coinvolgere nel progetto sempre nuovi artisti e quindi nuove sensibilità. Ed è questa, credo, una delle cose più interessanti dei MUTO: sapere che sono un gruppo in evoluzione, da seguire per scoprire dove li porterà la loro ricerca.