Francobollo Arirang

Gli anni d’oro del cinema muto coreano e lo stile shinpa

Continuiamo questo nostro viaggio nella storia del cinema coreano, ideato come un ulteriore approfondimento al webinar Sguardi coreani. Identità e autorappresentazione nel cinema sudcoreano contemporaneo. Nel precedente articolo vi avevamo parlato dell’apertura dei primi cinema e dei kino-drama, oggi invece ci concentreremo sulla produzione degli anni ‘20 e ’30. Questi sono considerati, dagli storici del cinema, il periodo d’oro della produzione di film muti in Corea. Purtroppo, però, a causa delle difficoltà che la nazione ha dovuto attraversare nel periodo coloniale e successivamente con la Guerra di Corea ed il regime militare, poco è riuscito a raggiungere i giorni nostri.

L’occupazione coloniale giapponese durò ben 35 anni, dal 1910 al 1945. Gli occupanti presero il controllo anche della produzione cinematografica promulgando, nel 1926, un regolamento per la gestione della censura. Motivo principale delle produzioni coreane era, infatti, il desiderio di indipendenza che si esprimeva in film ricchi di quei valori e delle tradizioni considerate tipicamente coreane.

I giapponesi iniziarono ad utilizzare il termine shinpa (in coreano 신파) per distinguere forme moderne di teatro da quelle tradizionali, quali kabuki e no. Caratteristica dello stile shinpa era una rappresentazione delle emozioni in maniera esagerata col fine di portare lo spettatore alla massima immedesimazione, fino alle lacrime, del dramma che si stava dipanando dinanzi ai suoi occhi. Il termine iniziò ad essere applicato anche al mondo del cinema. Gli attori nei film in stile shinpa erano soliti dipingere completamente il loro volto di bianco e su questa tela bianca disegnavano un viso dai nuovi lineamenti. I costumi più utilizzati erano a loro volta bianchi dalla testa ai piedi. La grande capacità di questi film di coinvolgere lo spettatore, portandolo ad una esplosione di emozioni ed un pianto catartico, era la caratteristica principale che sancì il successo di questo genere tra i coreani che attraverso di esso potevano sfogare le loro frustrazioni e la sofferenza di dover vivere sotto il pugno di ferro dei giapponesi. Tuttavia, anche se portavano sullo schermo alcuni problemi sociali, la maggior parte dei film shinpa non affrontavano in maniera critica queste questioni. Anzi, nella maggior parte di queste storie vediamo le componenti femminili della famiglia sacrificarsi per il bene ed il successo dei loro fratelli o figli, rispecchiando così la mentalità maschilista dell’epoca, legata al sistema patriarcale di stampo confuciano (situazione della quale vi abbiamo parlato nel paragrafo dedicato al regno di Chosŏn nell’articolo “Alle origini della società coreana: le trasformazioni del ruolo della donna dall’antichità al periodo Chosŏn”). Nonostante la tendenza ad un atteggiamento conservatore, tuttavia, bisogna evidenziare che molti di questi film mostrano un atteggiamento ambivalente verso la modernità che è vista come una minaccia ma allo stesso tempo una ossessione. Alcuni personaggi femminili, inoltre, sfidano l’ideologia confuciana di amare liberamente (in passato, i matrimoni combinati erano la norma), di divorziare e persino risposarsi. Per quanto riguarda l’estremizzazione nell’espressione delle emozioni, è stata una tendenza che si è protratta nel tempo, come naturale conseguenza delle tragedie che hanno segnato la storia della penisola coreana, tant’è che ancor oggi possiamo ritrovare l’influenza dello stile shinpa nei film e nelle serie tv sudcoreane contemporanee. 

Arirang (1926) - IMDb
Figura 1 Una locandina di “Arirang”, fonte: IMDb

Il primo capolavoro dell’era del film muto è un film a tema nazionalista: “Arirang”, opera del 1926 di Na Un-kyu. Il suo successo commerciale e di critica ispirò molti giovani ad entrare nel mondo del cinema. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una vendetta: si tratta della storia di Yŏng-jin, un giovane ragazzo di campagna che perde il senno a seguito dello shock subito durante i moti del primo marzo. Questo ha una visione del demonio a seguito del tentativo di stupro della sorella da parte di un nobiluomo, per giunta strettamente legato agli invasori giapponesi. Yŏng-jin uccide lo stupratore con una falce ed il film si conclude con lui che viene portato nella prigione sulla collina Arirang. Arirang è il nome di una delle canzoni più celebri e conosciute della tradizione coreana, così tanto da essere identificata come un secondo inno nazionale. È una canzone di consolazione che i contadini cantavano per sopportare la dura vita nei campi e farsi forza, per questo motivo è poi diventata il canto che meglio ha saputo rappresentare la capacità dei coreani di resistere ed affrontare le difficoltà che si sono poste sul loro cammino. Trattandosi di una canzone della tradizione contadina, del suo testo inevitabilmente esistono diverse varianti regionali, che il regista Na Un-kyu ha ulteriormente modificato inserendo dei riferimenti all’occupazione giapponese con i seguenti versi: “Come abbiamo potuto perdere la nostra fertile terra?” ed ancora “Come siamo diventati dei mendicanti?”.

Nazionalismo e realismo si fondono in questo filone cinematografico che ha inizio con “Arirang”. I byunsa, narratori per questi film muti di cui vi avevamo parlato nel precedente articolo, adattano la loro narrazione a seconda della presenza o meno di polizia in sala. Con la presenza delle forze armate giapponesi, infatti, essi evitano di narrare che la follia di Yŏng-jin in “Arirang” scaturisce dalle torture subite dalla polizia coloniale. Lo stesso regista, Na Un-kyu, fu coinvolto nell’attivismo anti-giapponese e incarcerato per due anni per aver preso parte al Movimento del Primo Marzo.

In questi anni, altro componente importante nella produzione cinematografica coreana è la Korean Artists’ Proletarian Federation (termine inglese con cui è conosciuta all’estero, anche con l’acronimo KAPF, mentre in coreano si chiama 조선프롤레타리아예술가동맹 letteralmente “Associazione degli artisti proletari di Chosŏn”). Questi artisti si rendono conto del potenziale educativo che i film possono esercitare sul loro pubblico e li utilizzano per mobilitare il popolo coreano. In quanto socialisti, questi erano per lo più influenzati dal cinema sovietico e ostili verso i prodotti americani e tutto ciò che riportava, a loro dire, i paradigmi del cinema americano, come lo stesso “Arirang” giudicato un film d’azione e per questo volgare. Tuttavia, durante tutto il periodo coloniale giapponese la KAPF riuscì a girare solo cinque film di stampo socialista a causa della censura da parte del Giappone e l’opposizione all’ideologia comunista da parte degli yangban, l’élite della società coreana.

임자 없는 나룻배 | 다음영화
Figura 2 “A Ferryboat that None Owns”, fonte: Daum

Nel 1932 approda nei cinema un altro film che suscita enorme scalpore “A Ferry Boat that No One Owns” (임자없는 나룻배) diretto da Yi Kyu-hwan e con Na Un-kyu nei panni del protagonista: Chun-sam, un contadino che va a Seoul e lavora come conducente di risciò. Viene incarcerato a seguito di un furto, compiuto per pagare le spese ospedaliere di sua moglie. Uscito di prigione, scopre che sua moglie ha avuto una relazione e disgustato torna al suo villaggio con la figlia e diventa un operatore di traghetti. Tuttavia, quando un ponte viene costruito 10 anni dopo, perde il lavoro. Per di più, il caposquadra ai lavori cerca di violentare sua figlia così, in preda al furore, Chun-sam lo uccide con un’ascia, poi tenta di distruggere le rotaie che passano sul ponte, ma muore investito da un treno. Il traghetto di Chun-sam rimane così il “Traghetto senza proprietario” a cui si fa riferimento nel titolo. La scena finale originale vedeva Chun-sam portare un’ascia sul ponte, ma questa è stata tagliata dalla censura governativa perché, come affermato dallo stesso regista, “colpire il ponte con l’ascia significava descrivere la rabbia del popolo coreano contro l’occupazione giapponese”. Lo stesso titolo dell’opera, “Un traghetto senza proprietario” potrebbe essere considerato un riferimento alla Corea ed al suo desiderio di indipendenza. 

Figura 3 Una locandina di “Crossroads of Youth”, fonte: RYM

Il più antico film muto arrivato in maniera integrale a noi è, invece, “Crossroads of Youth” (청춘의 십자로) del 1934 e diretto da An Chong-hwa. Si tratta di una straziante tragedia familiare ambientata sullo sfondo di una Corea che sta affrontando il problematico processo di modernizzazione della nazione. In questo video possiamo vedere delle scene tratte dalla versione restaurata del film, che è stato riscoperto nel 2007, e alcuni spezzoni di messe in scena contemporanee dell’opera con tanto di byunsa e musica.

FONTE:

Kim Mee-hyun (2007). Korean Cinema: from Origins to Renaissance. Seoul: Communication Books.

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