Nell’ambito del progetto “Narrazioni femminili. Riflessioni sulle principali protagoniste dei movimenti operai e femministi in Corea del Sud a partire dagli anni ’80”, abbiamo deciso di abbinare al programma di webinar alcuni articoli che possano in qualche modo arricchire il discorso. In questo caso vi presentiamo un film indipendente del 2014, “Han Gong-ju” che ha riscosso un buon successo, sia in patria che all’estero, cercando di portare all’attenzione una tematica molto spesso taciuta, quella della colpevolizzazione delle donne vittime di violenza sessuale.
«Non ho fatto nulla di male»
Han Gong-ju ha solo 17 anni, con il suo sguardo innocente guarda gli adulti che la circondano e sembra cercare conferma delle sue parole nei loro volti. Il loro silenzio è spiazzante, quegli adulti sono lì pronti a sbranarla per preservare i loro interessi, il loro buon nome, quello dei loro figli e di una comunità tutta scossa da un terribile caso di violenza sessuale.
Han Gong-ju, il cui nome in coreano potrebbe essere tradotto come “una principessa”, rappresenta tutte quelle donne che nella loro vita sono state vittima di violenza, donne che hanno avuto il coraggio di denunciare e che per questo sono state costrette alla fuga perché condannate da una intera comunità. Quella di Han Gong-ju è una storia che risulta terribilmente comune, perché la vicenda che vediamo svolgersi all’interno di una società così lontana come quella della Corea del Sud avviene spesso, seguendo simili modalità, anche in Italia. Una donna ha il coraggio di denunciare uno stupro e deve subire un terribile processo accusatorio nei suoi confronti: da vittima di un evento così traumatico, dal quale con grande difficoltà a livello psicologico si riesce ad uscire, deve fare i conti con quelle che sono le insinuazioni della polizia che deve accertarsi della buona fede della denunciante, le accuse da parte di conoscenti e parenti degli aggressori e di quelle comunità che si sentono diffamate dalla denuncia di simili crimini. Han Gong-ju è infatti costretta a scappare, a cambiare città e scuola, eppure è lei la vittima ma la società la trasforma in colpevole.
Questo drammatico film del 2014 del regista Lee Su-jin è stato ispirato da vicende realmente accadute, nello specifico dal caso di violenza sessuale perpetrato da studenti liceali ai danni di studentesse di scuola media nella zona di Miryang, nella provincia di Gyeongsang. Un gruppo di ben 44 studenti liceali ha bullizzato, molestato e violentato diverse studentesse, per lo più di scuola media, e le ha minacciate perché queste non denunciassero e continuassero a sottostare alle loro violenze. Il caso suscitò l’indignazione del pubblico e diverse proteste quando emerse che non solo i genitori degli aggressori avessero minacciato le vittime e le loro famiglie, ma che persino la polizia locale avesse accusato le vittime di infangare la loro città natale.
Con questo suo primo lungometraggio, il registra vuole denunciare l’incapacità di una intera società non solo nel dare giustizia ad una vittima di violenza sessuale, ma anche nell’aiutarla durante il processo di convalescenza e guarigione da un tale trauma. Chun Woo-hee (“The Wailing”, “Love, Lies”, “The Beauty Inside”, “The Piper”, “Sunny”, “Mother”) fa un lavoro eccellente nell’interpretare la protagonista, cosa che le ha fatto ottenere il premio come miglior attrice alla trentacinquesima edizione del Blue Dragon Film Festival. Il suo sguardo apparentemente calmo ma allo stesso tempo in costante tensione, ha una tale forza da perforare lo schermo. C’è una dolorosa calma nei suoi occhi, ma quando questa calma mista a mestizia si infrange in un sorriso emerge tutta la voglia di reagire e vivere di questa giovanissima donna. “Han Gong-ju” non è solo un film di denuncia sociale, è anche una storia di rinascita e di speranza. Se da una parte viene denunciato un sistema che non funziona, dall’altra si cerca di porre le basi perché avvenga il cambiamento.
Lee Su-jin non è l’unico regista che ha utilizzato il cinema per denunciare una società corrotta anzi, in questo i coreani sono estremamente abili, basta pensare a dei grandi successi contemporanei come “Squid Game” e “Parasite”, opere con un chiaro messaggio contro le diseguaglianze sociali; o anche al recentissimo “All of Us are Dead”, dove la scuola prima dell’arrivo degli zombie fa persino più paura per via di gravi atti di bullismo. “Silenced”, film del 2011 con protagonista l’oggi amatissimo Gong-yoo, è un altro esempio della forza che il cinema può avere. Tratto da terribili fatti di cronaca, a loro volta riportati in un romanzo, l’opera del regista Hwang Dong-hyuk denuncia casi di violenza su bambini di una scuola per sordo-muti. Il pubblico rimase così sconvolto dalla vicenda, e dalle pene irrisorie che i colpevoli avevano ricevuto, che le autorità furono costrette a riaprire il caso e l’Assemblea Nazionale della Corea del Sud promulgò una legge chiamata “Legge Dogani” (dal nome in coreano del film e del romanzo basati su queste vicende) per annullare la prescrizione in casi di violenza sessuale su minori di 13 anni e portatori di handicap, mentre la massima pena passò da un periodo limitato di anni all’ergastolo.
Anche se “Han Gong-ju” non ha avuto conseguenze paragonabili a quelle di “Silenced”, il film ha ricevuto un grande riscontro all’interno delle produzioni indipendenti coreane, varcando i confini nazionali per vincere importanti riconoscimenti in diversi festival internazionali. Ha infatti vinto la Stella D’oro alla Tredicesima edizione del Marrakech International Film Festival, il premio Tigre alla Quarantatreesima edizione di International Film Festival Rotterdam ed i premi della Giuria, Critica e del Pubblico al Sedicesima edizione del Deauville Asian Film Festival. In patria ha ottenuto il CGV Movie Collage Award ed il Citizen Reviewers’ Award alla Diciottesima edizione di Busan International Film Festival.
La visione di “Han Gong-ju” non è sicuramente facile, è un pugno nello stomaco, ma racconta un problema reale che troppe volte cerchiamo di ignorare, fingendo di non vedere, ma di cui dovremmo parlare di più e Lee Su-jin, con questa sua opera, lo fa in maniera cruda, senza troppi fronzoli, andando dritto al nocciolo della questione: Han Gong-ju non ha fatto niente di male eppure, ancora oggi, le tante Han Gong-ju che purtroppo sono vittime di reati sessuali vengono costrette a subire una ulteriore violenza da una società ed un sistema che non è capace di proteggerle.