“Questo film è basato su una storia vera. I dettagli e la ricostruzione psicologica dei personaggi, però, sono frutto d’invenzione.”
Con questa frase si apre “The President’s last bang”, il quarto film di Im Sang-soo, regista della seconda “New wave” del cinema coreano – quella che annovera, tra gli altri, registi come Kim Ki-duk, Hong Sang-soo e Park Chan-wook – nonché aiuto regista di uno dei maestri della cinematografia sudcoreana, Im Kwon-taek.
La storia vera è quella dell’omicidio del Presidente Park Chung-hee, avvenuto il 26 ottobre 1979 per mano del Direttore della KCIA Kim Jae-gyu, mentre dettagli e psicologia sono l’interpretazione che il regista dà degli avvenimenti e del loro svolgimento.
La morte del Presidente Park, avvenuta durante una cena svoltasi in un edificio della KCIA, mise la parola fine a 18 anni di governo autoritario, caratterizzato da una parte da un forte anticomunismo che giustificava le azioni repressive e le limitazioni alle libertà personali, e dall’altra dall’ascesa economica del Paese.
Proprio questi elementi, insieme ai suoi trascorsi filo-giapponesi, rendono la figura di Park controversa e quegli anni un momento particolarmente complesso della storia coreana.
Quanto certi argomenti legati alla storia di un Paese siano delicati da trattare, anche a distanza di decenni, lo dimostra ciò che accadde al film poco prima della sua uscita nel 2005, quando la famiglia di Park sporse denuncia per diffamazione con l’intento di bloccarne la distribuzione.
La denuncia non venne accolta, ma il giudice ordinò che venissero eliminate dal film le sequenze iniziali e finali, che riportavano immagini originali dell’epoca, in quanto avrebbero creato confusione negli spettatori tra ciò che era realtà e ciò che era finzione.
Nella versione disponibile oggi le immagini d’archivio sono presenti e sono fondamentali per la struttura stessa del film. Sono come il sipario in un teatro, la loro presenza all’inizio e alla fine ha la funzione di proiettare lo spettatore dal piano della realtà a quello della finzione, rendendo tangibile anche dal punto di vista della struttura filmica quanto enunciato nella frase introduttiva.
“The President’s last bang” è un film difficile da catalogare, ha l’aspetto di un dramma politico, ma ha anche i tratti della black comedy. È un film che vive di contrasti, pervaso da uno humor nero dissacrante che abbassa ciò che viene mostrato e che, al contempo, mostra ciò che racconta con uno stile raffinato ed elegante che pervade tutto, dai movimenti di macchina alla fotografia, dalle ambientazioni alla musica. Forse solo ne “Il Dottor Stranamore” di Stanley Kubrick si aveva una tale contrapposizione tra forma e contenuto, anche se nel film di Kubrick l’ironia era marcata ed evidente, mentre in “The President’s last bang” è molto più sfumata, sottile e destabilizzante.
Im Sang-soo usa il registro del ridicolo per ribaltare scene e situazioni che dovrebbero essere formalmente serie, come quando riprende il Direttore Kim Jae-gyu dal medico, al termine di una visita per problemi al fegato che possono provocare aerofagia. Oppure quando il Comandante delle guardie presidenziali Cha viene ripreso mentre risponde ad una telefonata del Presidente con indosso solo la giacca della divisa e le mutande. E non sono risparmiati neanche gli uomini delle istituzioni riuniti in consiglio dopo quanto accaduto al Presidente: c’è chi pela una mela e chi si misura la pressione, c’è chi chiede il significato della parola “avversità” e chi cerca nella Costituzione l’articolo nel quale si fa menzione del passaggio di poteri al Primo Ministro, ma quell’articolo proprio non riesce a trovarlo. La derisione del potere e di chi lo esercitava in qualsiasi ruolo è una costante lungo tutto il film.
Il livello più alto nel contrasto tra ciò che viene mostrato e il modo in cui è rappresentato si raggiunge durante le scene del banchetto dove sono presenti, oltre al Presidente Park e al direttore Kim, il Comandante Cha, il Segretario del Presidente Yang e due giovani ragazze portate per intrattenere il Presidente con la loro bellezza e le sue amate canzoni giapponesi.
Qui Im Sang-soo realizza due dei più bei piani sequenza dell’intero film. Il primo è un lungo movimento di macchina laterale che, come a sottolineare l’attesa per ciò che accadrà, dalla sala del banchetto ci fa scivolare lungo gli ambienti, dall’interno all’esterno dell’edificio, mostrandoci gli altri uomini che saranno coinvolti: le guardie del Presidente e il personale di cucina.
Il secondo avviene a omicidio concluso, il Presidente è stato portato via, un agente della KCIA spegne una luce lasciando la stanza in penombra, oltrepassa il Comandante Cha morente e prosegue verso l’uscita mentre noi lo seguiamo dall’alto, con la macchina da presa che muovendosi sinuosa ci mostra ciò che resta dell’attacco compiuto dagli uomini della KCIA: pavimenti sporchi di sangue e corpi privi di vita riversi a terra. Di nuovo la raffinatezza dello stile si scontra con ciò che viene inquadrato.
Nulla è casuale nel film, ogni gesto compiuto, ogni parola pronunciata serve a definire un personaggio, così come il momento storico. Non sono casuali i dialoghi tra alcuni uomini della sicurezza che elencano ciò che si rischia a pronunciare frasi o a compiere azioni ritenute dal governo “sediziose”, così come la battuta che Kim fa sul suo alito che “non è un normale alito pesante, ma è la puzza degli organi malati” o il nome con il quale si rivolge al Presidente prima di sparargli, Takagi Masao, il nome assunto da Park durante il dominio giapponese.
L’unica cosa che sembra accadere per caso, in modo del tutto estemporaneo è proprio l’assassinio del Presidente Park. Nella ricostruzione del regista avviene perché Kim, irritato dalle parole di critica che gli rivolge il comandante Cha, decide che è giunto il momento di farla finita. L’evento centrale della storia, quello che in ogni altro film sarebbe stato carico di pathos, qui invece si svolge in modo raffazzonato, disorganizzato e ridicolo.
Quasi tutti gli uomini che parteciparono all’assasinio furono in seguito giustiziati, compreso il Direttore Kim, sul quale Im Sang-soo fa pendere una domanda che ci viene posta da una voce fuori campo (quella dell’attrice Premio Oscar Yoon Yeo-jeong) mentre scorrono le immagini del suo interrogatorio:
“Che ne pensate di lui? Vi sembra un rivoluzionario che lotta per la libertà? O un Don Chisciotte paranoico? Dicono che le sue ultime affermazioni in tribunale, che esprimevano il suo grande desiderio di democrazia, furono molto toccanti. Forse… Ma voi curiosi dovrete scoprirlo da soli.”
Ed eccoci, alla fine del film, davanti a quella che pare essere la sua origine, la domanda da cui è scaturito tutto ciò che ci è stato mostrato, la domanda alla quale ogni spettatore è chiamato a dare una risposta. Sempre che una risposta effettivamente ci sia… per Im Sang-soo sta a noi curiosi scoprirlo.
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Nel 2020 è uscito un altro film dedicato all’assassinio del Presidente Park, “The man standing next”, diretto da Woo Min-ho, nel quale il Direttore Kim è interpretato da Lee Byung-hun.
“The President’s last bang” è disponibile in streaming sulla piattaforma Fareaststream del Far East Film Festival