Tra le storie di guerra che i miei nonni mi raccontavano quando ero bambina, una di quelle che più mi è rimasta impressa è quella in cui mio nonno tenta di sfuggire al fuoco di una mitragliatrice mentre trasporta due valigie colme di sale. Dopo l’armistizio, lo sbandamento dei fascisti e la trasformazione dell’alleato tedesco in temuto occupante, scarseggia tutto, ogni giorno è difficile mettere insieme qualcosa da mangiare: Il sale allora, diventa come l’oro, preziosa merce di scambio al mercato nero per riuscire a racimolare un pasto. Non ricordo esattamente come mio nonno fosse venuto in possesso di queste due valigie di sale, il dettaglio che più mi è rimasto impresso però è come perfino sotto il fuoco della mitraglia e con la necessità di mettersi al riparo in tutta fretta, mio nonno continuasse a correre tenendo ben strette queste due pesanti valigie: il sale era la vita.
È a questa immagine che ho pensato spesso mentre leggevo uno dei racconti di The Underground Village intitolato Salt, sale appunto. Anche qui il sale è metafora della vita: simbolo di un lusso che non ci si può permettere più, della rinuncia a gustare un buon pasto in una vita quotidiana fatta di fatiche e soprusi e, infine, emblema della sopravvivenza stessa quando il sale, come per mio nonno, si trasforma in merce di scambio e mezzo di sostentamento. Sono tutti così i personaggi di questa raccolta di racconti: piccoli elementi di una costellazione, abitanti di un mondo fatto di oppressione e violenza, ritratti della dura vita che segnava la comunità coreana di una Manciuria in cui l’autrice, Kang Kyeong-ae, si trova a vivere a più riprese nel corso degli anni venti e trenta.
Kang Kyeong-ae era nata nel 1906 da una famiglia molto povera in una provincia di quella che oggi è la Corea del Nord. A sette anni impara a leggere da autodidatta utilizzando una copia di uno dei classici della letteratura coreana: Chunhyangjeon (La storia di Chun-hyang) che trova in casa, e riesce, grazie alle pressioni che sua madre opererà sul suo patrigno, a continuare la sua educazione fino alle scuole superiori (anche se non le completerà), cosa non scontata per una donna di quell’epoca e di estrazione sociale bassa. È alla fine degli anni venti che Kang Kyeong-ae va per la prima volta in Manciuria come insegnante, ed entra in contatto con la dura realtà di vita della comunità coreana. Qui i contadini coreani, scappati in Manciuria dalla povertà che li affliggeva in Corea, fanno una vita di stenti: schiacciati nella lotta tra nazionalisti coreani e comunisti, perseguitati dai giapponesi come sospette spie e sfruttati dai proprietari terrieri cinesi. Il contatto quotidiano con questa realtà, fatta di degrado e soprusi, favorisce l’avvicinamento dell’autrice al Comunismo, che si rivelerà poi una costante tanto della sua vita quanto della sua scrittura. Kang Kyeong-ae tornerà nuovamente in Manciuria (dopo un breve soggiorno in Corea) ancora nel 1931, e poi nuovamente nel 1933. È in questo periodo che prende corpo gran parte della sua produzione letteraria fatta di racconti e di un unico romanzo (In-gan Munje), tutti ispirati dall’osservazione quotidiana della vita in Manciuria e imbevuti della sua forte convinzione politica.
Nella raccolta The Underground Village tornano tutti i temi cari all’autrice: la precarietà delle condizioni di vita dei contadini coreani e cinesi, l’estrema povertà, la repressione del nascente movimento comunista, la critica ad una borghesia superficiale e vanesia (come nel racconto The Authoress), e l’autocritica personale generata dall’incapacità di abbandonare completamente i valori borghesi (come ad esempio nei racconti Manuscript Money e Sympathy). Alla doppia oppressione di classe e etnica (la discriminazione della comunità coreana) l’autrice affianca anche quella di genere: molte delle protagoniste (così come le voci narranti) di queste storie sono donne, che patiscono non solo la povertà, ma anche gli abusi da parte di “padroni”, mariti e parenti. Superstiti (Salt, Mother and Son, Darkness) e vittime di una povertà estrema e di una società violenta (Opium, Vegetable Patch, The Underground Village), le donne di questa raccolta sono soprattutto testimoni degli eventi che le vedono protagoniste o in alcuni casi spettatrici, e incarnano una presa di coscienza politica che si identifica con quella dell’autrice stessa: l’oppressione dei lavoratori da parte dei padroni e dei proprietari terrieri.
Se l’immaginario politico risulta espressamente radicato in un periodo storico e usa dei riferimenti non sempre di facile identificazione per il lettore moderno, è la ricchezza della scrittura di Kang Kyeong-ae a rendere questi racconti ancora estremamente attuali. La capacità dell’autrice di descrivere scene, personaggi ed emozioni con una dovizia di dettagli e una sensibilità unica, fa sì che ogni racconto si trasformi in un quadro che prende progressivamente forma nella mente del lettore. È impossibile leggere The Man on the Mountain e non visualizzare lo sforzo fisico del protagonista, oppure The Underground Village e non sentire una stretta allo stomaco causata dalla materializzazione della povertà estrema. Molte di queste immagini sono di tale intensità che rimangono a lungo nella mente del lettore, e vanno ad inserirsi in una sorta di catalogo immaginario delle sofferenze umane.
The Underground Village non è una lettura facile e, per l’intensità dei racconti, non la consiglierei neanche tutta d’un fiato, ma rimane una testimonianza straordinaria delle vite di uomini e donne che vivono in una Manciuria devastata dalla guerra e dalla povertà, e dell’eccezionale penna di di una scrittrice che ha saputo renderli immortali.
THE UNDERGROUND VILLAGE, di Kang Kyeong-ae, è pubblicato in inglese da Honford Star (2018) e tradotto da Anton Hur.