Mi hanno sempre affascinato le personalità forti dei personaggi femminili nei K-drama. Se le comparo ad alcuni personaggi femminili della televisione occidentale, queste donne coreane mi appaiono molto più combattive e tenaci. Nonostante ciò, sono in grado di mostrarsi anche molto sensibili e di non essere entità perfette, senza debolezze. Nelle loro imperfezioni, questi personaggi fittizi risultano estremamente verosimili. La profondità delle loro personalità è probabilmente uno degli elementi che mi ha portato ad amare tanto i telefilm coreani. Per questo motivo mi incuriosiva molto sapere anche come fossero le donne della Corea pre-moderna. Alcuni telefilm storici riescono ad offrirci affascinanti ricostruzioni della vita di donne del passato, un esempio è il Saimdang’s Light’s Diary 사임당, 빛의 일기 (2017) che ricostruisce in maniera fantastica e romanzata la vita di una celebre artista di epoca Chosŏn. Ma ancor meglio dei telefilm, è la letteratura di quest’epoca che può offrire interessanti spunti per meglio comprendere le donne di quei tempi.
“Donne di Chosŏn” è un interessantissimo studio che, attraverso l’analisi di 15 personaggi femminili della letteratura classica, fornisce al lettore un accurato approfondimento sulla vita delle donne dell’epoca. L’autrice dell’opera è Jo Hye-ran, professoressa presso l’Ewha Women’s University, un’esperta di letteratura classica e, in particolare, della letteratura femminile antica. Attraverso le sue sapienti parole scopriamo un mondo per lo più sconosciuto al lettore italiano. La Corea della dinastia Chosŏn (1392 – 1897) era una nazione la cui società fu fortemente influenzata dall’ideologia del Neoconfucianesimo di Zhu Xi. I rapporti umani erano regolati in maniera verticale, per cui i figli dovevano obbedire ai genitori ed i sudditi al re, considerato padre della nazione tutta. Il rapporto tra moglie e marito, che in teoria sarebbe di tipo orizzontale e quindi paritario, è regolato da norme come samjongjido (삼종지도 / 三從之道) e chilgŏji’ak (칠거지악 / 七去之惡) che di fatto pongono il marito in una posizione di superiorità. Anzi, le norme del samjongjido sanciscono di fatto l’inferiorità della donna rispetto all’uomo nella società di Chosŏn, che si rivela così estremamente patriarcale. Ma questa era un’epoca durante la quale, oltre al sesso, ciò che determinava il destino di un uomo era la sua estrazione sociale. Seppur gli esami di stato fossero un modo per affidare le cariche governative in base al valore ed alle conoscenze dei classici confuciani di ciascun partecipante, di fatto ad essi potevano accedervi solo i membri dell’aristocrazia. La scalata sociale era praticamente impossibile. Ovviamente, la differente estrazione sociale aveva una grande influenza anche sulla vita delle donne. Per assurdo, le donne nate in famiglie nobili potevano godere di molte meno libertà rispetto a quelle del popolino. Esse non potevano mostrare il loro volto in pubblico, sempre costrette a coprirsi con un abito che in una certa misura potrebbe ricordare il burqa, e per restare nascoste dovevano viaggiare all’interno di dei portantini. L’amore libero era a loro quasi inaccessibile, costrette com’erano a matrimoni combinati. Tuttavia, un detto coreano (“여자 팔자는 뒤웅박 팔자”) riporta che la sorte della donna è simile a quella di una zucca a fiasco (p. 18). Un tempo, infatti, queste zucche erano usate come contenitori, le famiglie ricche le riempivano di riso, quelle più povere vi mettevano mangime per animali. Da ciò possiamo capire che seppur libere di mostrare il loro volto e persino di amare, le donne povere avevano comunque una sorte peggiore, costrette ad affrontare le difficoltà legate alle restrizioni economiche. Anche se imprigionate da un sistema patriarcale diverso da quello occidentale, perché basato sul Confucianesimo, le donne coreane si trovarono a dover affrontare problematiche simili alle loro contemporanee europee. Come quest’ultime, infatti, erano considerate esseri inferiori all’uomo e quindi da questo assoggettabili. Una donna senza la sua famiglia e senza un uomo era in grave pericolo e difficilmente sarebbe riuscita a cavarsela da sola. In Corea il suo destino sarebbe probabilmente stato quello di diventare kisaeng (una intrattenitrice professionista) o una prostituta. “Donne di Chosŏn” mostra tutti questi aspetti delle problematiche vite delle donne della Corea pre-moderna attraverso un’analisi critica dei personaggi femminili che popolano i romanzi di questo periodo. Lo studio è diviso in 5 capitoli, in ognuno dei quali la vita delle donne di Chosŏn è analizzata da una prospettiva diversa.
Il primo capitolo “Non desiderare il mondo umano” affronta l’argomento della società umana dal punto di vista di chi a questa società non appartiene, come la sirena Paek Nŭng-p’a e la diavolessa Mamo, o non appartiene più, come il fantasma di Mamboksa chŏp’o-gi. La prima storia ci mostra il grande valore della virtù confuciana della fedeltà in epoca Chosŏn e quanto le donne dovessero sopportare, come l’esser trascurate a favore di altre concubine. Il concubinaggio era infatti una realtà al tempo, e fu estirpata solo a seguito del colpo di stato militare messo in atto da Park Chung-hee nel 1961. Lo spirito della ragazza della seconda storia mostra il grande desiderio delle donne del tempo di amare liberamente, una possibilità che lei riesce ad ottenere solo dopo la morte. Mamo, invece, è uno dei pochi personaggi negativi di cui parla il saggio, insieme alla malvagia concubina Kyo Ch’aeran del Sassi Namjŏng-gi. Mamo può essere considerata un simbolo delle ajumma coreane, donne di mezza età, sposate e dotate di una forte tenacia.
Il secondo capitolo “L’ambizione, dentro o fuori” si concentra sull’ambizione femminile. La prima storia analizzata è un romanzo eroico detto anche kundam, dal titolo Hong Kyewŏl–jŏn. Qui la protagonista, persa la sua famiglia, si traveste da uomo per fuggire al pietoso destino al quale vanno incontro le orfane. Da uomo ebbe modo di affermarsi a livello sociale e diventare un grande combattente, persino una volta scoperta poté mantenere la sua posizione ma dovette sposarsi. A questo punto nacquero i problemi, in quanto il marito non sopportava di essere inferiore di rango a sua moglie. L’equilibrio tra uomo è donna è così sconvolto, nonostante ciò la storia ha un lieto fine quando il marito finalmente riconosce la superiorità della donna. Sembrerebbe un romanzo rivoluzionario, in realtà i romanzi erano principalmente consumati da un pubblico femminile ed è quindi scritto per poter compiacere i suoi lettori. Infatti gli uomini, impegnati negli studi confuciani, trovavano i romanzi una distrazione. Da questo punto di vista l’opera propone una fantasia alle lettrici nella quale evadere e sentirsi realizzate, immedesimandosi nei panni della protagonista. Kang Nam-hong, protagonista di Okrumong, è un’altra guerriera che grazie alle sue straordinarie doti nelle arti marziali riesce a realizzarsi nella vita. Pyŏk Sŏng-sŏn, un altro personaggio dell’Okrumong viene esaminato nell’ultima parte di questo capitolo. In questo caso, però, non si tratta di una guerriera ma il suo personaggio impersonifica il valore della verginità in epoca Chosŏn. Così come in Occidente, anche in Corea la verginità andava assolutamente preservata e perderla prima del matrimonio poteva rappresentare una rovina per la donna, in particolare per la donna nobile. Pyŏk Sŏng-sŏn è inoltre una donna dall’estrema pazienza e saggezza, capace di aspettare l’uomo che ama per anni attraverso tante difficoltà e persino di persuadere il re alla ragione.
Il primo personaggio analizzato nel terzo capitolo “Un paio di metodi per sopravvivere nel patriarcato” è la malvagia Kyo Ch’aeran del Sassi Namjŏng-gi. Nei romanzi classici le donne si dividono generalmente in donne virtuose, che seguono i dettami dell’etica confuciana, e quelle non virtuose. Kyo è una di quest’ultime, è descritta come una donna in preda alla sua voluttà. Il confucianesimo condannava fortemente il desiderio umano, esso era considerato un tabù. Ma Kyo sceglie di vivere liberamente il suo desiderio che, misto al suo estremo egoismo, la porteranno ad una tragica fine. Al contrario, il personaggio di Sa Chŏng-ok rappresenta la donna virtuosa per eccellenza che subirà le angherie di Kyo ma che alla fine riuscirà a riconquistare il suo posto di moglie legittima. Il suo unico errore è l’ingenuità con cui accetta la concubina Kyo in famiglia, ma bisogna ricordare che la gelosia era un enorme peccato per le donne del tempo, ed una delle sette colpe per cui un marito potesse legalmente chiedere il divorzio. Una realtà amara se consideriamo che le donne dovevano essere fedeli e non potevano nemmeno concedersi di provare gelosia nonostante le tante donne che un uomo poteva contrarre come concubine. L’importanza della fedeltà viene ribadita nell’ultima parte di questo capitolo, attraverso la storia di Suk-yŏng e del suo suicidio atto a riottenere l’onore perso dopo l’accusa di infedeltà.
Nelle prime due parti del quarto capitolo, “La sensualità è la mia arma”, attraverso i personaggi di Ong-nyŏ e Ch’ung-hyang viene evidenziato quanto il concetto di fedeltà nasca nella nobiltà come una virtù atta ad evidenziare la superiorità di questi dal resto del popolo. Alle donne di basso rango, invece, la fedeltà era qualcosa che non potevano permettersi. Ong-nyŏ vede morire tutti i suoi compagni, ed è continuamente costretta a trovarne di nuovi per non finire sola a peggior destino. Ch’ung-hyang, in quanto figlia di kisaeng, non potrebbe opporsi al volere di un nobile che la reclama, e la sua resistenza è un atto rivoluzionario. L’ultima parte di questo capitolo è dedicata a Ch’o-ok, forse il mio personaggio preferito tra i 15 di questo saggio. Si tratta di una donna di bassa levatura sociale che ha la fortuna di venire istruita nei classici, il suo amore per la poesia la porterà a cercare un compagno con cui poterla condividere, nonostante debba sposare un uomo che non ama. Quando scoprirà che il suo amore era solo un’illusione, lascia sia l’amante che il marito per trovare la sua personale libertà. È lei forse il personaggio più realistico ed affascinante tra quelli proposti.
L’ultimo capitolo è dedicato ad alcune riflessioni su donne abbandonate e sulle difficoltà che queste devono affrontare.
In conclusione, “Donne di Chosŏn” è un saggio estremamente affascinante che propone al lettore italiano un approfondimento su una realtà lontanissima come quella della Corea di epoca Chosŏn. Tuttavia le pene sopportate da queste donne risultano non tanto dissimili da quelle patite dalle loro contemporanee donne europee.
FONTI:
De Nicola, Giuseppina 2018. Sistema familiare e società in Corea. Dall’antichità ad oggi. Milano: FrancoAngeli.
Jo, Hye-ran 2019. A cura di Jung Im Suk. Donne di Chosŏn, The Ladies From the Past. Da Ch’unhyang a Hyang Rang. Milano – Udine: Mimesis Edizioni.
Riotto, Maurizio 2018. Storia della Corea. Dalle origini ai giorni nostri. Firenze – Milano: Giunti Editore/Bompiani.
한국민족문화대백과사전 (삼종지도(三從之道) http://encykorea.aks.ac.kr/Contents/Item/E0026813
한국민족문화대백과사전 (칠거지악(七去之惡) http://encykorea.aks.ac.kr/Contents/Item/E0058443